martedì 5 gennaio 2010

Partita del 4 gennaio 2010: dal diario di Claudio Cadeddu






4 gennaio 2040, dal diario di Claudio Cadeddu, 42 anni

Questa sera mi sono ritrovato con i miei amici al ristorante “Dal Vecchio Kalle”, gestito da un ottantenne che all’inizio del secolo era diventato famoso in tutta Pesaro per aver scritto un dossier sulle malefatte di una squadra di calcio che esisteva allora e si chiamava Juventus (per la cronaca, questa squadra ha cessato di esistere intorno al 2025 quando il Presidente, Alessandro Del Piero, detto Uliveto, ha esonerato l’allenatore, tal Sebastian Giovinco, dopo che lo stesso aveva aggredito uno dei sei arbitri a causa di un fuorigioco, non visto nemmeno dalle 178 apposite telecamere, provocando una sommossa dei 1.500 tifosi presenti allo stadio con conseguenti disordini sfociati in un massacro epocale).

Mi è tornata in mente una cena di 30 anni fa alla quale ho partecipato accompagnato da mio padre Marco, che si autodefiniva il “Mister” di uno squinternato gruppo di arzilli quasi cinquantenni che, ancora, insistevano a giocare a calcetto. Quella volta, ebbi la fortuna (?) di assistere, in una specie di freezer, ad una partita fra quegli attempati signori. Ricordo ad esempio il burbero papà del celebre Gianluca Poto (oggi presidente della Provincia) che, forse sapendo di incontrare poi nello stesso ristorante il “vero” Ennio Cicciarello, nel vano tentativo di imitarlo tentava di scartare anche le panchine e le borse posizionate fuori dal campo prima di alzare la testa. E ricordo anche un già vecchissimo portiere, il caro nonno Max (il quale oggi, finalmente, pare aver trovato la donna della sua vita e alla bella età di 81 anni convolerà platonicamente a nozze con la sua ex badante estone), che dopo aver preso gol da ogni posizione alla fine si è riscattato facendo vincere i suoi compagni. E cosa dire di quel bomber che, pur percorrendo in tutta la partita poco più di 5 metri, riusciva sempre a segnare con fortissimi tiri all’incrocio dei pali? Sugli altri due giocatori di quella squadra c’è poco da dire: uno era un amico storico di mio padre che correva correva e faceva solo casino e diceva, chissà perché, “parliamone”, e l’atro era proprio mio padre che, prima del match, si era chiuso negli spogliatoi per psicanalizzarsi davanti allo specchio e individuare i tanti motivi delle ripetute sconfitte. Beh, quella volta gli andò bene, dato che in effetti alla fine vinse per 9-8. E pensare che gli avversari erano forse più forti. C’era uno che a causa del lavoro si vedeva poco e si chiamava, mi pare, Tre B, o Tre C, Tre D, boh???; non giocò male, anzi, segnando dei bellissimi gol ma, nel momento decisivo, non fu in grado di pareggiare al culmine di una improbabile rimonta. Sulla fascia sinistra, vicino a me quindi, con tutti i pericoli che ne conseguivano, si trovava invece Michele Mancini (l’amico di babbo, con il quale abbiamo fatto tanti viaggi e che, ce l’ho impresso in memoria, proprio quella sera mi ammoniva sul fatto che non avrei dovuto imparare a parlare di calcio sin da piccolo, pensando piuttosto ad un non meglio precisato “altro”: che maestro di vita…!!!) che più tirava, sempre col sinistro, più sbagliava. Che disgrazia! Gli altri tre erano il Professor Buscaglia (il mio insegnante di Filosofia al Liceo: ecco perché ho scelto di studiare Fisica Quantistica all’Università…), bravino ma alla fine un po’ nervoso perché riteneva, probabilmente a ragione, di essere l’unico che correva, un silenzioso personaggio che ogni tanto si stropicciava i delicatissimi occhi a causa dell’umidità dell’ambiente e un grosso difensore di nome, mi sembra, Lillo Pianello, che, non facendocela più a reggersi in piedi vista la mole, ad un certo punto è andato in porta lasciando di fatto liberi gli attaccanti di ribaltare il risultato.

Che tempi…a cena parlavano di Ferrara (il padrone della catena di pizzerie “Da Ciro”), Diego (calciatore brasiliano divenuto nel frattempo porno attore a Copacabana) e di Suazo, un honduregno che ha finito la sua carriera nell’Urbania trascinando i durantini in Eccellenza. E ricordo, infine, che mancava uno degli amici di papà sin dai tempi in cui viveva a Bologna, il padre di Francesca Rigucci, Alberto, mi pare, che, incazzatissimo per non essere stato convocato, la mattina successiva entrò in un laboratorio di Pesaro facendosi ricoprire l’intero corpo di una serie di coloratissimi tatuaggi che, tutt’oggi, lo rendono un autentico fenomeno da baraccone, facendosi ritrarre dagli incuriositi turisti che sfilano davanti all’Hotel Flaminio leggendo i ritagli di un “Resto del Carlino” di trent’anni fa, con una velenosa e stizzita intervista rilasciata da Rigucci stesso su una festa di Capodanno mail riuscita!

Beh, per fortuna che noi siamo cresciuti senza far troppo riferimento ai nostri genitori (basti pensare che Francesco Mancini , nonostante i tanti soldi guadagnati nel motorismo, è una persona davvero amabile, umile e capace di fare serenamente autocritica) anche se, per concludere questa pagina del diario, bisogna sottolineare che pure stasera quei vecchi bacucchi si sono ritrovati al Ledimar per la solita partita di calcetto: non la smettono proprio mai…

1 commento:

Anonimo ha detto...

commovente, mi viene da piangere, ho le lacrime agli occhi