Giunto al finire della mia vita di peccatore, mentre canuto senesco come il mondo, nell’attesa di perdermi nell’abisso della divinità silenziosa e deserta, partecipando della luce inconversevole delle intelligenze angeliche, trattenuto nella cella del monastero di Ledimar, mi accingo a lasciare su questo vello, testimonianza degli eventi terrifici e mirabili accaduti lunedì venticinque luglio, nell’anno del Signore 2011, quando fui testimone trasparente e atterrito della crudeltà esercitata dalla Santa Inquisizione, rappresentata sulla terra da Marco Bernardo Gui da Metz, con potere di vita e morte sugli inermi et umili appartenenti all’ordine francescano. Ebbene ora che l’Anticristo si è mostrato in tutta la sua tragica potenza ed i roghi dei santi fraticelli hanno illuminato le buie colline prospicienti l’Adriatico, io, unico scampato alle atrocità, di lontano comandate, da un papato insipiente ed eresiarca, per tramite del suo braccio secolare, così traduco e decifro.
Appartenenti all’0rdine francescano soccombente
Frate Lillo da Casale. Fraticello umile e pacioso, miserevolmente chiamato ad un improprio ruolo dopo avere dissodato gli orti del lontano monastero di Melk ed essersi forse cibato per anni, con incauta ingordigia dei frutti della terra, non adempiva, agli occhi di Marco Bernardo Gui da Mez, agli uffici ed ai compiti richiesti dalla Chiesa in quel delicato frangente spirituale. Veniva così artatamente riconosciuto come antico appartenente alla setta eretica dei Dolciniani e per questo mai suffragato motivo, tradotto al rogo, dopo conclamata invettiva dell’inquisitore.
Frate Max da Milano. Portiere e cellario dell’Eremo delle Carceri. Ritenuto colpevole di non essermi opposto con sufficiente santità e martirio agli zoccoli ed agli istrumenti ferrigni della cavalleria imperiale, nonostante fossi deformato nel volto e nei lineamenti estivamente africani, dopo torture condotte nelle segrete del monastero di Ledimar, irriso ed apostrofato da Marco Bernardo Gui da Mez, venivo accompagnato moribondo e irrorato di pece, alle secche fascine ed al fuoco eterno. Mi avrebbe salvato il popolino dall’empietà inquisitoriale per tramite di sollevazione e confusione notturna.
Frate Marco Bernardo Gui da Metz. Domenicano della Santa Inquisizione. Occhi freddi, grigi, capaci di fissare senza espressione, abile sia nel celare pensieri e passioni, che nell’esprimerli con veemenza ed inappellabilità. Nella crudele giornata del venticinque luglio anno domini, fu primaria causa della disfatta, ma con luciferina abilità, anticipava il dissenso, creando agli occhi dei più, gli eretici ai quali attribuire colpe non loro. Che Iddio lo perdoni.
Frate Giacomo de’ Soriani. Appartenente all’ordine degli Spirituali, segaligno e scattante, nonostante offrisse con ineffabilità e gaudio il proprio arto mutilo alla cavalleria imperiale, non avrebbe mai goduto della misericordia di Bernardo Gui da Mez, il quale con sovrana e tetragona fede, lo consegnava agli armati papali affinché si immolasse in paradisiaca comburenza sulla pira di santa romana chiesa. Venerato come primo martire e ribattezzato Giacomo da Calcetto. Riposa in Assisi e la sua tomba è meta di pellegrinaggio.
Frate Andrea dè Leonardi. Unico sopravvissuto alla ferinità del braccio secolare sgattaiolò dall’Abbazia di Ledimar, entro una botte destinata al vino, su di una carretto trainata da laici. Marco Bernardo Gui cercò anche lui, ma fortunatamente per il popolo cristiano, Frate Andrea, fu candido come colomba e astuto come serpente.
Gli Imperiali trionfatori
Eletti a Francoforte da Ludovico il Bavaro, premevano con il loro antipapa sul territorio dell’abbazia di Ledimar, investendolo con lo strapotere delle armi, il soldo delle casse imperiali, l’arroganza delle loro investiture. Come potevamo, noi semplici fraticelli dell’ordine dell’Assisiate, opporci a cotanta protervia, se non intonando i nostri salmi e canti?
Principe Simone Trebbi. Falciava con imperiosità la squadra avversa calpestando il molle terreno papale. Fu lui, a troncare l’arto di Santo Giacomo da Calcetto, ma a differenza di Bernardo Gui, mostrava poi notevole compassione nell’offrire, con samaritano slancio, la sospensione dello scontro, mentre alle sue spalle già si preparava il rogo purificatore del nostro amato fratello.
Principe Alberto Dè Rigucci da Villa San Martino. Saranno le future cronache ad esaltarne degnamente le gesta, consumate a difesa della porta imperiale.
Principe Fabio Pontrelli. La sua fisionomia, plasmata dalle molte passioni, mostrava tutta la famelicità imperiale e la ferrea volontà di rendersi partecipe degli eventi. Ah, quanto avremmo potuto noi francescani conoscere altra sorte, se sorretti da tale unicità di fede.
Principe Atto degli Astuti di Sicilia. Cavaliere dell’Ordine della Farmacopea, avrebbe poi suggellato con sapiente e calibrato tiro di rigore la sua appartenenza alla squadra vincitrice ed il vindice contributo alla meritata vittoria..
Principe Davide Remedi. Null’altro che inchinarsi di fronte alla solida combattività fornita da colui che è stato reduce della presa di Gerusalemme, di Edessa a seguito di tante crociate consumatesi a difesa della cristianità.
Epilogo
Termina qui la mia testimonianza degli oscuri fatti di quel giorno ormai lontano, destinato a dissolversi nella tenebra divina, in un silenzio muto ed ineffabile, dove tutto risulterà,infine, compreso e forse perdonato, senza più uguaglianza e disuguaglianza. Affido le mie spoglie e quelle dei miei fratelli al luogo dove non c’è più opera ed immagine. Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus. Max da Mediolanum.
mercoledì 27 luglio 2011
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