mercoledì 1 ottobre 2014

PARTITA DEL 29 SETTEMBRE. LA MACCHINA DEL TEMPO (WRITTEN BY MAX)




H.G. WELLS


LA MACCHINA DEL TEMPO
(THE TIME MACHINE)

Il macchinario che l’ormai vecchio Professor Remedi mostrava ai suoi colleghi, si presentava come una struttura metalloide scintillante, appena più grande di una vecchia automobile di quell’epoca. Era simile ad una grande divano, ma a cinque posti. Sembrava amalgamato con l’avorio avendo assunto l’aspetto di una pasta vetrificata quasi cristallina e con la forma, ripeto, di uno strano e sproporzionato divano. Ai lati era delimitato da due robusti braccioli dello stesso materiale mentre su di un solo di essi comparivano due leve. La grande stanza era illuminata da un discreto numero di candele poste su candelieri argentati e di rara fattura. Il Professor Remedi aveva come sempre buon gusto ma i presenti presagivano che il decano li aveva di nuovo convocati per ribadire che anche per quel lunedì non si poteva proprio parlare di sconfitta.
Il camino era acceso ed il crepitìo della fiamma tra i ceppi era l’unico rumore prodotto nell’antico salotto vittoriano. Il tè era stato da poco servito e i cinque amici dell’anziano insegnante di fisica calcettistica osservavano ancora stupefatti lo strano marchingegno che troneggiava al centro del locale. Abel stava pensando che avrebbe potuto rappresentare un buon soggetto per la prossima mostra da allestire a Buenos Ares. Simone, scettico per natura, pensava già al tempo inutilmente speso per essere in quella poco chiara situazione. Leonardi era rimasto senza parole ma tutto questo rientrava in uno stile per così dire, genetico. Mancini chiese a tutti quando si sarebbe disputata la partita successiva ma nessuno ebbe la forza di rispondergli. Aleggiava una disturbante sensazione di mistero. Solamente Rigu azzardò una domanda che era nell’inconscio di tutti – “e quello che diamine è?”
Lo scienziato non aspettava altro ed assumendo un’aria susssiegosa dichiarò: “Vedete cari ed ignoranti amici, lo spazio, quale lo concepiscono i nostri matematici, ha tre dimensioni, che chiamiamo comunemente lunghezza, larghezza e profondità. Ebbene, perché non immaginare allora, una geometria quadridimensionale dove la quarta dimensione, il tempo, si possa finalmente muovere indipendentemente dalle prime tre? Dove sia possibile andare avanti e indietro nella dimensione temporale pur rimanendo nello stesso spazio.”
“Che intendi dire?” – chiese di nuovo cocciutamente Rigu.
Remedi cominciò a spazientirsi. Ultimamente gli capitava sempre più spesso – “Voglio dire che l’ultima partita non è stata affatto persa dalla mia squadra!. Intendo dire che nel corso degli ultimi incontri, Atto, Max, Potino, Pontrelli ed io siamo arrivati sul campo di calcetto con alcuni secondi di ritardo rispetto al tempo reale giocato nel corso della partita, e questo grazie a questa meravigliosa invenzione in grado, quando sarà perfezionata, di cambiare il destino della nostra squadra. Una macchina del tempo! In sostanza tutti noi ci materializzavamo subito dopo le vostre azioni e il risultato è stato che noi, durante la gara, passavamo la palla quando questa non c’era già più. Gridavamo” fallo!” quando nessuno lo aveva commesso e, vi assicuro, cosa ancora più strana, lo stesso Max si buttava mentre la palla era già ferma da tempo in fondo alla rete”-
“Non ti seguo” – azzardò Leonardi in un inaspettato sussulto dialettico.
Voglio dire che è stato questo il motivo per il quale mentre voi eravate già sotto la doccia, noi sgambettavamo ancora in campo chiedendoci dove foste. Non giocavamo male quindi e non era nemmeno una questione di concentrazione. Ci stavamo semplicemente impegnando quando il nostro tempo era già dietro al vostro. Ecco perché, da questo punto di vista, si sono svolte due partite anche  un poco in differita. Converrete quindi con me che le ultime gare non le abbiamo in realtà perse ma che semplicemente, il mezzo di trasporto che sta qui davanti a voi, ora, non era stato tarato con precisione sullo stesso asse spazio – temporale”.
A quel punto gli amici del professore capirono che era definitivamente impazzito e che se ne era uscito con un’altra delle sue astruse teorie confezionate a bella posta per non ammettere di essere stato sconfitto.
Mancini chiese perché in campo non erano comparsi allora due palloni. Nessuno gli rispose. Abel pensò allora che l’esclamazione “daie!” era stata per tanto tempo, oltre che fastidiosa, inutile, non avendo potuto avere effetto su di una realtà che ancora era inesistente. Fu a quel punto che Leonardi osservò che nel salotto non comparivano né Max né gli altri giocatori. Chiese al professor Remedi come era potuto accadere.
Ci fu un silenzio imbarazzante. Poi, Remedi, riprese la parola – “Non so come dirvelo ma i miei quattro compagni di squadra si erano seduti nemmeno un’ora fa sulla mia macchina del tempo, scambiandola per un innocuo divano da salotto e quello sbalestrato del mio portiere, il quale non era nemmeno tolto i guantoni, ha azionato la leva color avorio diamantato. Quella con la tonalità rubino. Era la leva destinata a proiettare la mia macchina ed il suo contenuto nell’abisso del passato. Credo siano ora nello stesso nostro campo di calcetto ma in una diversa era geologica, forse nell’ordoviciano-siluriano, e che si trovino vestiti da calciatori, vagando magari su una barriera corallina dell’oolitico, infestata dai plesiosauri, o lungo i solitari mari salati del triassico. Proporrei di raggiungerli e disputare con i nostri amici  la bella”-
Nemmeno un’ora dopo i superstiti stavano già divorando una fornarina in baia Flaminia giurandosi l’un altro di non affrontare mai più quell’argomento, né tra loro né, tanto meno, con estranei.

MAX

Nessun commento: