H.G. WELLS
LA MACCHINA
DEL TEMPO
(THE TIME MACHINE)
Il macchinario che l’ormai vecchio Professor Remedi
mostrava ai suoi colleghi, si presentava come una struttura metalloide
scintillante, appena più grande di una vecchia automobile di quell’epoca. Era simile
ad una grande divano, ma a cinque posti. Sembrava amalgamato con
l’avorio avendo assunto l’aspetto di una pasta vetrificata quasi cristallina e
con la forma, ripeto, di uno strano e sproporzionato divano. Ai lati era
delimitato da due robusti braccioli dello stesso materiale mentre su di un solo
di essi comparivano due leve. La grande stanza era illuminata da un discreto
numero di candele poste su candelieri argentati e di rara fattura. Il Professor
Remedi aveva come sempre buon gusto ma i presenti presagivano che il decano li
aveva di nuovo convocati per ribadire che anche per quel lunedì non si poteva
proprio parlare di sconfitta.
Il camino era acceso ed il crepitìo della fiamma tra
i ceppi era l’unico rumore prodotto nell’antico salotto vittoriano. Il tè era stato da poco
servito e i cinque amici dell’anziano insegnante di fisica calcettistica
osservavano ancora stupefatti lo strano marchingegno che troneggiava al centro
del locale. Abel stava pensando che avrebbe potuto rappresentare un buon soggetto
per la prossima mostra da allestire a Buenos Ares. Simone, scettico per natura,
pensava già al tempo inutilmente speso per essere in quella poco chiara
situazione. Leonardi era rimasto senza parole ma tutto questo rientrava in uno
stile per così dire, genetico. Mancini chiese a tutti quando si sarebbe
disputata la partita successiva ma nessuno ebbe la forza di rispondergli.
Aleggiava una disturbante sensazione di mistero. Solamente Rigu azzardò una
domanda che era nell’inconscio di tutti – “e quello che diamine è?”
Lo scienziato non aspettava altro ed assumendo
un’aria susssiegosa dichiarò: “Vedete cari ed ignoranti amici, lo
spazio, quale lo concepiscono i nostri matematici, ha tre dimensioni, che
chiamiamo comunemente lunghezza, larghezza e profondità. Ebbene, perché non
immaginare allora, una geometria quadridimensionale dove la quarta dimensione,
il tempo, si possa finalmente muovere indipendentemente dalle prime tre? Dove
sia possibile andare avanti e indietro nella dimensione temporale pur rimanendo
nello stesso spazio.”
“Che intendi dire?” – chiese di nuovo
cocciutamente Rigu.
Remedi cominciò a spazientirsi. Ultimamente gli
capitava sempre più spesso – “Voglio dire che l’ultima partita non è stata
affatto persa dalla mia squadra!. Intendo dire che nel corso degli ultimi
incontri, Atto, Max, Potino, Pontrelli ed io siamo arrivati sul campo di
calcetto con alcuni secondi di ritardo rispetto al tempo reale giocato nel
corso della partita, e questo grazie a questa meravigliosa invenzione in grado,
quando sarà perfezionata, di cambiare il destino della nostra squadra. Una
macchina del tempo! In sostanza tutti noi ci materializzavamo subito dopo le
vostre azioni e il risultato è stato che noi, durante la gara, passavamo la
palla quando questa non c’era già più. Gridavamo” fallo!” quando nessuno lo
aveva commesso e, vi assicuro, cosa ancora più strana, lo stesso Max si buttava
mentre la palla era già ferma da tempo in fondo alla rete”-
“Non ti seguo” – azzardò Leonardi in un
inaspettato sussulto dialettico.
“Voglio dire che è stato questo il motivo per il
quale mentre voi eravate già sotto la doccia, noi sgambettavamo ancora in campo
chiedendoci dove foste. Non giocavamo male quindi e non era nemmeno una
questione di concentrazione. Ci stavamo semplicemente impegnando quando il
nostro tempo era già dietro al vostro. Ecco perché, da questo punto di vista,
si sono svolte due partite anche un poco
in differita. Converrete quindi con me che le ultime gare non le abbiamo in
realtà perse ma che semplicemente, il mezzo di trasporto che sta qui davanti a
voi, ora, non era stato tarato con precisione sullo stesso asse spazio –
temporale”.
A quel punto gli amici del professore capirono che era
definitivamente impazzito e che se ne era uscito con un’altra delle sue astruse
teorie confezionate a bella posta per non ammettere di essere stato sconfitto.
Mancini chiese perché in campo non erano comparsi
allora due palloni. Nessuno gli rispose. Abel pensò allora che l’esclamazione “daie!”
era stata per tanto tempo, oltre che fastidiosa, inutile, non avendo potuto
avere effetto su di una realtà che ancora era inesistente. Fu a quel punto che
Leonardi osservò che nel salotto non comparivano né Max né gli altri giocatori.
Chiese al professor Remedi come era potuto accadere.
Ci fu un silenzio imbarazzante. Poi, Remedi, riprese
la parola – “Non so come dirvelo ma i miei quattro compagni di squadra si
erano seduti nemmeno un’ora fa sulla mia macchina del tempo, scambiandola per
un innocuo divano da salotto e quello sbalestrato del mio portiere, il quale
non era nemmeno tolto i guantoni, ha azionato la leva color avorio diamantato.
Quella con la tonalità rubino. Era la leva destinata a proiettare la mia
macchina ed il suo contenuto nell’abisso del passato. Credo siano ora nello
stesso nostro campo di calcetto ma in una diversa era geologica, forse
nell’ordoviciano-siluriano, e che si trovino vestiti da calciatori, vagando
magari su una barriera corallina dell’oolitico, infestata dai plesiosauri, o
lungo i solitari mari salati del triassico. Proporrei di raggiungerli e
disputare con i nostri amici la bella”-
Nemmeno un’ora dopo i superstiti stavano già
divorando una fornarina in baia Flaminia giurandosi l’un altro di non
affrontare mai più quell’argomento, né tra loro né, tanto meno, con estranei.
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