PROLOGO
Se davvero, come affermava Gabriel Garcia Marquez, la vita di un
uomo non è composta da ciò che ha fatto, bensì da ciò che ricorda di aver
fatto e da come lo ricorda, ebbene, è in questa visione un poco
psicoanalitica, ma nondimeno suggestiva, che si è formata quest’idea di
cristallizzare l’inarrestabile flusso del tempo, bloccandolo finalmente in un
documento, una sorta di diario per soli iniziati, all’interno del quale,
qualunque cosa si racconti, la si vede inserita in poche fondamentali dimensioni
spazio - temporali, che sono sport ma, a dir la verità, anche qualcosa di più.
Un’ascissa ed una ordinata, entrambe bianche, dieci
particelle verticali rispetto alle prime dimensioni, delle quali due
pressoché ferme ed otto, in scambievole movimento, ed infine, il tempo,
pressoché lo stesso, né espanso, né, tanto meno, compresso dove,
insomma, governa più agilmente Isaac Newton che Albert Einstein.
Qualunque osservatore “C” esterno lo chiamerebbe calcetto
e non avrebbe torto, in quanto è indubitabile che si tratti di una pratica
ormai consolidatasi nella storia di questi ultimi anni, con proprie regole e
consuetudini, che, qualcuno, con un colpo di vero genio, le aveva già
immaginate trasferibili, mediante un accorto processo di miniaturizzazione
(ancora la fisica!), dall’allora irraggiungibile mondo del calcio, luogo ancor
oggi, nonostante tutto, metafisico e, parzialmente, ma solo parzialmente,
traducibile, grazie alle vocianti e ben remunerate sibille evocate nell’antro
dei cristalli liquidi domestici.
Noi che non siamo, però, osservatori “C” esterni, bensì
particelle pienamente interne al sistema e, come direbbe qualunque insegnante
di meccanica newtoniana, inerziali ad esso, ebbene, noi abbiamo il
privilegio di vederla in un altro modo, che, non è detto essere il modo giusto,
ma una prospettiva differente dalla quale osservare anche il mondo esterno.
Il nostro osservatore “C”, infatti, pur dotato di una visione
per così dire obiettiva, proprio perché distante dalle dinamiche
consumate dentro il sistema stesso, non potrà che ricavare, dalle innumerevoli
osservazioni che il nostro laboratorio produce settimanalmente, una sensazione
di palpabile ripetitività o, meglio, di stanca ritualità, almeno per chi
algidamente osserva, trattandosi di un esperimento entro il quale si riproduce
il meccanismo sconfitta/vittoria di alcune particelle rispetto alle altre, dove
tutto ha un senso solamente dentro quelle linee bianche ed al termine del
quale, il bilancio energetico è sempre il medesimo. Uguale il numero delle
particelle che escono dal laboratorio, riscontrabile il tempo trascorso,
inalterato il perimetro spaziale. Persino l’umore generale delle particelle,
dopo i primi minuti dalla cessazione dell’evento, si stabilizza grazie alla seconda
legge dell’entropia.
Ma è veramente tutto qui? Davvero, il senso di ciò che si è
osservato risiede nella sola sensazione di chi ha assistito all’esperimento?
Ebbene, siamo ipocritamente spiacenti, ma non è così. Ora, non intendiamo dire,
con sin troppa disinvoltura, che il calcio od il calcetto, simili ma differenti
come cugini di secondo grado, rappresentino la metafora della vita, però è un
poco come se lo fossero, almeno per noi, che non vestiamo i panni
dell’osservatore “C” esterno di prima. Perché, come nella vita, lì, ci diamo
delle regole e dentro quel piccolo e verde contenitore, coltiviamo, come nella
vita, appunto, una speranza, magari piccola, di vittoria.
Sappiamo di dover contare su noi stessi ma ci accorgiamo che
senza gli altri non arriviamo da nessuna parte. Siamo all’interno di un disegno
geometrico e cartesiano che ci fornisce quei limiti di cui abbiamo comunque
bisogno e che altrimenti violeremmo, con tante piccole regole che desideriamo
ardentemente che gli altri rispettino, lasciando che a noi, forse inconsciamente,
sia dato, almeno una volta, l’infrangerle, pur di raggiungere quell’unica, vera
sporca ultima meta, che esiste, ben salda, anche al di là dell’universo
serale del lunedì. E poi c’è la
Fortuna, la stessa della quale aveva terrore persino il
Machiavelli, scienziato della politica ragionata, bestia nera di qualsivoglia
Principe, intelligente o potente che fosse. Si, perché il destino, di cui la Fortuna è anima gemella,
va accarezzato, magari blandito ma mai, dico mai, violentato. Perché nel
calcetto ha la forma tonda del pallone, sfuggente, senza angoli, che per questo
si fa beffe di quel quadrilatero con i suoi 90° così come degli schemi studiati
a tavolino e di quelle, a volte patetiche strategie, tese a raccogliere i migliori
lasciando i peggiori agli altri.
C’è una sorta di anarchica democrazia nel nostro
calcetto,che a ben guardare diviene simbolo tangibile del quotidiano di molti
di noi. Che dire, poi, del conflitto, elemento irrinunciabile
dell’esistenza umana, seppur intiepidito da quell’incontestabile e ramificata
amicizia che da tanti anni ci lega, ci avvince e che va ben oltre tutto questo.
Insomma, il nostro calcio bonsai assomiglia un poco a quelle mature
socialdemocrazie scandinave dove lo spirito individualista non divora il
benessere collettivo e dove il senso del collettivo non inibisce l’individuo.
C’è spazio per tutti e non è, credeteci, retorica. Vi è posto persino per la
libertà di stampa, dove il blog, sorta di tabloid psicodrammaturgico, ricco di
corriva ironia, agguanta come un falco le debolezze di tutti ma agglutina e
rende coesa l’appartenenza di gruppo. Tutto questo finirà?
Abbiamo già invocata la legge dell’entropia che governa
non il calcetto ma l’intero universo destinato all’equilibrio termico ed essa
dice “sì”, ma è pur vero che ciò che abbiamo avuto non ce lo sottrarrà più
nessuno, che ciò che abbiamo lo stiamo vivendo con intelligente volontà e
quello che vorremo, continua ad essere allestito. Vi par poco? Allora, torniamo
a questo preziosissimo documento cartaceo e forse antistorico, che vedrà però
accrescere il suo valore con il sedimentarsi degli anni e che, come l’oro,
arricchisce e luccica in ragione della sua preziosità.
Lo spazio verde nel quale ci muoviamo è piccolo ed il numero dei
minuti in esso consumati è ad esso proporzionale ma l’energia che ne scaturisce
è miracolosamente nucleare se si tiene conto della sua durata. Qualcosa
ci dice che c’entri in qualche modo, il senso dell’amicizia, antica e
rinnovata, che ha visto il passaggio di molti volti e il permanere di altri,
dove siamo stati però capaci di gestire i cambiamenti, con un processo di
adattamento che solamente gli organismi più duttili sanno mettere in campo.
Forse, perché abbiamo intuito che al di là della linea di porta
vi sono uno spogliatoio, dove si consumano altri importanti riti, una cena
settimanale, nel corso della quale i pensieri si rilassano in una quiete
finalmente diversa, i contatti umani, sottile filo rosso che unisce
giornate distanti, fatte di lavoro quotidiano e di densi impegni familiari.
Nell’Enrico V di Shakespeare, il monarca chiamava a raccolta i suoi intimi,
prima della battaglia, con il titolo di “felici pochi, schiera di fratelli”.
Nulla di così drammatico, per carità, ma il sospetto di essere privilegiati,
questo sì, persiste…
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