venerdì 20 dicembre 2013

Il Book 2013: "Occhio al centro"!!! Lo strepitoso prologo del Fondatore



PROLOGO

Se davvero, come affermava Gabriel Garcia Marquez, la vita di un uomo non è composta da ciò che ha fatto, bensì da ciò che ricorda di aver fatto e da come lo ricorda, ebbene, è in questa visione un poco psicoanalitica, ma nondimeno suggestiva, che si è formata quest’idea di cristallizzare l’inarrestabile flusso del tempo, bloccandolo finalmente in un documento, una sorta di diario per soli iniziati, all’interno del quale, qualunque cosa si racconti, la si vede inserita in poche fondamentali dimensioni spazio - temporali, che sono sport ma, a dir la verità, anche qualcosa di più.
Un’ascissa ed una ordinata, entrambe bianche, dieci particelle verticali rispetto alle prime dimensioni, delle quali due pressoché ferme ed otto, in scambievole movimento, ed infine, il tempo, pressoché lo stesso, né espanso, né, tanto meno, compresso dove, insomma, governa più agilmente Isaac Newton che Albert Einstein.
Qualunque osservatore “C” esterno lo chiamerebbe calcetto e non avrebbe torto, in quanto è indubitabile che si tratti di una pratica ormai consolidatasi nella storia di questi ultimi anni, con proprie regole e consuetudini, che, qualcuno, con un colpo di vero genio, le aveva già immaginate trasferibili, mediante un accorto processo di miniaturizzazione (ancora la fisica!), dall’allora irraggiungibile mondo del calcio, luogo ancor oggi, nonostante tutto, metafisico e, parzialmente, ma solo parzialmente, traducibile, grazie alle vocianti e ben remunerate sibille evocate nell’antro dei cristalli liquidi domestici.
Noi che non siamo, però, osservatori “C” esterni, bensì particelle pienamente interne al sistema e, come direbbe qualunque insegnante di meccanica newtoniana, inerziali ad esso, ebbene, noi abbiamo il privilegio di vederla in un altro modo, che, non è detto essere il modo giusto, ma una prospettiva differente dalla quale osservare anche il mondo esterno.
Il nostro osservatore “C”, infatti, pur dotato di una visione per così dire obiettiva, proprio perché distante dalle dinamiche consumate dentro il sistema stesso, non potrà che ricavare, dalle innumerevoli osservazioni che il nostro laboratorio produce settimanalmente, una sensazione di palpabile ripetitività o, meglio, di stanca ritualità, almeno per chi algidamente osserva, trattandosi di un esperimento entro il quale si riproduce il meccanismo sconfitta/vittoria di alcune particelle rispetto alle altre, dove tutto ha un senso solamente dentro quelle linee bianche ed al termine del quale, il bilancio energetico è sempre il medesimo. Uguale il numero delle particelle che escono dal laboratorio, riscontrabile il tempo trascorso, inalterato il perimetro spaziale. Persino l’umore generale delle particelle, dopo i primi minuti dalla cessazione dell’evento, si stabilizza grazie alla seconda legge dell’entropia.
Ma è veramente tutto qui? Davvero, il senso di ciò che si è osservato risiede nella sola sensazione di chi ha assistito all’esperimento? Ebbene, siamo ipocritamente spiacenti, ma non è così. Ora, non intendiamo dire, con sin troppa disinvoltura, che il calcio od il calcetto, simili ma differenti come cugini di secondo grado, rappresentino la metafora della vita, però è un poco come se lo fossero, almeno per noi, che non vestiamo i panni dell’osservatore “C” esterno di prima. Perché, come nella vita, lì, ci diamo delle regole e dentro quel piccolo e verde contenitore, coltiviamo, come nella vita, appunto, una speranza, magari piccola, di vittoria.
Sappiamo di dover contare su noi stessi ma ci accorgiamo che senza gli altri non arriviamo da nessuna parte. Siamo all’interno di un disegno geometrico e cartesiano che ci fornisce quei limiti di cui abbiamo comunque bisogno e che altrimenti violeremmo, con tante piccole regole che desideriamo ardentemente che gli altri rispettino, lasciando che a noi, forse inconsciamente, sia dato, almeno una volta, l’infrangerle, pur di raggiungere quell’unica, vera sporca ultima meta, che esiste, ben salda, anche al di là dell’universo serale del lunedì. E poi c’è la Fortuna, la stessa della quale aveva terrore persino il Machiavelli, scienziato della politica ragionata, bestia nera di qualsivoglia Principe, intelligente o potente che fosse. Si, perché il destino, di cui la Fortuna è anima gemella, va accarezzato, magari blandito ma mai, dico mai, violentato. Perché nel calcetto ha la forma tonda del pallone, sfuggente, senza angoli, che per questo si fa beffe di quel quadrilatero con i suoi 90° così come degli schemi studiati a tavolino e di quelle, a volte patetiche strategie, tese a raccogliere i migliori lasciando i peggiori agli altri.
C’è una sorta di anarchica democrazia nel nostro calcetto,che a ben guardare diviene simbolo tangibile del quotidiano di molti di noi. Che dire, poi, del conflitto, elemento irrinunciabile dell’esistenza umana, seppur intiepidito da quell’incontestabile e ramificata amicizia che da tanti anni ci lega, ci avvince e che va ben oltre tutto questo. Insomma, il nostro calcio bonsai assomiglia un poco a quelle mature socialdemocrazie scandinave dove lo spirito individualista non divora il benessere collettivo e dove il senso del collettivo non inibisce l’individuo. C’è spazio per tutti e non è, credeteci, retorica. Vi è posto persino per la libertà di stampa, dove il blog, sorta di tabloid psicodrammaturgico, ricco di corriva ironia, agguanta come un falco le debolezze di tutti ma agglutina e rende coesa l’appartenenza di gruppo. Tutto questo finirà?
Abbiamo già invocata la legge dell’entropia che governa non il calcetto ma l’intero universo destinato all’equilibrio termico ed essa dice “sì”, ma è pur vero che ciò che abbiamo avuto non ce lo sottrarrà più nessuno, che ciò che abbiamo lo stiamo vivendo con intelligente volontà e quello che vorremo, continua ad essere allestito. Vi par poco? Allora, torniamo a questo preziosissimo documento cartaceo e forse antistorico, che vedrà però accrescere il suo valore con il sedimentarsi degli anni e che, come l’oro, arricchisce e luccica in ragione della sua preziosità.
Lo spazio verde nel quale ci muoviamo è piccolo ed il numero dei minuti in esso consumati è ad esso proporzionale ma l’energia che ne scaturisce è miracolosamente nucleare se si tiene conto della sua durata. Qualcosa ci dice che c’entri in qualche modo, il senso dell’amicizia, antica e rinnovata, che ha visto il passaggio di molti volti e il permanere di altri, dove siamo stati però capaci di gestire i cambiamenti, con un processo di adattamento che solamente gli organismi più duttili sanno mettere in campo.
Forse, perché abbiamo intuito che al di là della linea di porta vi sono uno spogliatoio, dove si consumano altri importanti riti, una cena settimanale, nel corso della quale i pensieri si rilassano in una quiete finalmente diversa, i contatti umani, sottile filo rosso che unisce giornate distanti, fatte di lavoro quotidiano e di densi impegni familiari. Nell’Enrico V di Shakespeare, il monarca chiamava a raccolta i suoi intimi, prima della battaglia, con il titolo di “felici pochi, schiera di fratelli”. Nulla di così drammatico, per carità, ma il sospetto di essere privilegiati, questo sì, persiste…

IL FONDATORE


Nessun commento: